Nell’avvertenza del romanzo l’autore rileva che: «su i natali di Pergolesi sono discordi i suoi biografi: alcuni fanno nascere questo illustre compositore in Jesi, d’Ancona; altri a Casoria, circondario di Napoli. io mi attenni a questa seconda opinione, come quella che più giovava allo interesse del mio racconto, che dovea veder la luce in Napoli»[1]
Romanzo decisamente storico, dove alla biografia del compositore, è intrecciata la sua storia d’amore con la nobile donzella Maria Spinelli, relazione fortemente contrastata dalla famiglia. La giovane in seguito preferisce prendere il velo piuttosto che andare a sposa ad un giovane di nobile lignaggio.
Anche nel dramma storico «L’Olimpiade», pubblicato su Il Sibilo dal 3 al 7 luglio 1845, è descritta una storia d’amore di Pergolesi con una donzella nobile, Costanza, figlia del duca di Mondragone. Anche questa relazione è contrastata dal nobil’uomo, per motivi di lignaggio.
Oltre al Pergolesi sono citati tanti altri personaggi realmente vissuti come Niccolò Capasso e Giambattista Vico, che vanno a fargli visita nella sua umile casetta: «Niccolò Capasso – egli esclamò come rapito fuori di se – Giambattista Vico! Oh Dio, dio mio! ed il mio povero tetto avrà accolto questi due uomini eminenti! Ma questo è il più bel giorno della mia vita!» [2]
Tra le tematiche della narrazione, la difficoltà che avevano gli uomini dotati di talento e d’ingegno a campare la vita, ed oltre a descrivere le difficoltà affrontate dal Pergolesi, ne cita altre di personaggi famosi, tra cui lo stesso Giambattista Vico: «Il Tasso, il Giambattista Vico, il Poliziano, il Camoens ed altri mille morti nella più squallida indigenza sono macchie indelebili che deturpano la civiltà e il paese in cui quegli ebbero cuna»[3]; «La Divina Commedia di Dante Alighieri ridusse il fiero Ghibellino ad assaggiare siccome sa di sal lo pane altrui. Torquato Tasso, l’autore della Gerusalemme Liberata, fu ridotto a vendere le sue ultime camicie. Giambattista Vico, contemporaneo del Pergolesi, l’autore della Scienza Nuova, morì senza aver venduto una sola copia di questo aureo libro»[4]
Il compositore visse a Napoli nell’epoca in cui si insediarono a Napoli i Borboni con Carlo III, e un intero capitolo e dedicato quasi tutto a questo evento storico: «Pochi mesi innanzi, vale a dire, il 12 giugno di quell’anno 1735, avea fatto solenne entrata in Napoli il re Carlo III di Borbone». [5]
Censura decisamente che nel XVIII secolo ci fossero ancora dei castratori di fanciulli legalizzati: «Qui si castrano gatti e fanciulli – Ciò si leggea su l’uscio della bottega del nostro barbisontore verso i principii dello scorso secolo». [6] Lo scopo della castrazione dei fanciulli viene spiegata dall’autore in poche semplici parole: «è noto che queste immani mutilazioni si facevano per avere de’soprani che non fossero femmine». [7] Lo stesso Giambattista Pergolesi stava diventando vittima di questa barbara usanza «m’informai del fanciullo e seppi chiamarsi Battistino Pergolesi, nativo di Casoria, dove ha i suoi genitori piuttosto in povero stato […] ti do la mia parola, caro compare, che tra una quindicina di giorni ti recherò qui il piccolo Battistino perché ne facci un secondo Cafarelli». [8] questo dialogo avviene tra un faccendiere ed un castratore di fanciulli. Viene elencato anche il prezzo di queste operazioni di castrazione.[9]
La sopravvivenza degli studenti difficile era in quel periodo, la seguente osservazione la troviamo anche in altri romanzi di Francesco Mastriani: «Questa e pregiudiziale opinione si aveva in quel tempo anche sugli studenti; sicché fino a poco tempo fa leggevamo una iscrizione all’angolo d’una strada di Napoli in cui era detto: Non si fitta questa casa né alle meretrici né agli studenti e né ad altra simile gente infame». [10]
Viene citato un allievo del Pergolesi, che poi assiste il maestro fine alla fine dei suoi giorni, un tale Anfossi, di cui cita solo il cognome ma non il nome. Non può essere Pasquale Anfossi che, essendo nato nel 1727, non coinciderebbe con i tempi in cui si svolge la trama del romanzo: «Il mio caro Anfossi finisca l’ultima strofa del mio Stabat, e consegni il lavoro alla Compagnia della SS. Vergine de’Sette Dolori».[11]
Francesco Mastriani ha sempre amato la sua città natia Napoli, con i suoi difetti ma soprattutto con i suoi tanti pregi: «Nessuno più di noi ama questo cielo e questa terra di Napoli, alla quale abbiamo consacrato tutte le forze del nostro povero ingegno, e per la quale operosamente ci affaticammo in sudati volumi». [12] «Napoli era in quel periodo sotto il dominio tedesco […] Con tutto ciò, Napoli non era certamente la Terra di Diemen o una regione della selvaggia Cimbelasia. Napoli era nel secolo de’Vico e de’Filangieri, era sempre, per la bontà del suo clima e per l’amenità de’suoi colli, il ritrovo di ragguardevoli viaggiatori».[13].
Cita poi Santo Emiddio, protettore contro i terremoti. È evidente che si riferiva al vescovo Emidio d’Ascoli: «In questa occasione il Pergolesi ebbe l’incarico, dal Municipio di Napoli, di scrivere una messa solenne in onore di Sant Emiddio, ritenuto da’Napolitani come particolar patrono contro i tremuoti».[14]
Giambattista Pergolesi si recò a Roma in occasione della messa in scena del suo dramma L’Olimpiade. In quell’epoca, nota Mastriani, i viaggi via terra non erano semplici: «Lunghi, fastidiosi e faticosi erano i viaggi in quel tempo. Per andare da una provincia all’altra, non rare volte il viaggiatore dettava le sue ultime disposizioni testamentarie […] Si arrivava nella capitale dello Stato Pontificio pesti, malconci, agghiacciati come sorbetti nel verno, arrostiti come S. Lorenzo nella està, senza dire delle vessazioni che si pativano ad ogni fermata per visite di passaporti, bagagli ed altre simili formalità». [15]
Francesco Mastriani stimava in particolar modo Giambattista Pergolesi, lo evince già nella dedica delle prime pagine del romanzo, per la signorina Sofia Melchionna: «… uno dei più illustri compositori musicali del secolo scorso; il quale come tanti altri grandi uomini di questo sventuratissimo paese, scontò , nelle infinite amarezze causategli dalla ingratitudine dei contemporanei, il peccato originale del genio». [16]
Al converso, non stimava molto un altro illustre compositore italiano della sua epoca: Giuseppe Verdi: «Quali dolorose cefalalgie non avrieno quei dabbenuomini riportato dal teatro dopo di aver sentito, per esempio, l’Aida o il Don Carlos?» [17]
Ma anche in diversi articoli del giornale La Domenica, viene criticato più volte il compositore di Busseto, e in particolare la sua opera Il Trovatore. «Sono ormai tredici anni che questo Trovatore ci sta felicitando, per non dire, ci sta levando l’umido […] A Napoli, per circa dieci anni, ci fu una specie d’idrofobia trovatoriesca. […] Se Verdi avesse scritto questo spartito non con altro scopo che quello di romperci le scatole, non avrebbe potuto riuscire meglio nel suo intento […] Insomma, è una maniera novella di persecuzione, di cui Dante, se avesse a’tempi nostri scritto l’Inferno, si sarebbe valuto con gran profitto delle anime. O Trovatore, noi ti malediciamo usque in genitalibus, come dice la Curia romana quando maledice a qualcheduno: che tu possa sparire dalla faccia della terra, e non trovare neppure un casotto che ti alberghi, neppure un cane… Ma che dico! un cane! Gli è appunto in questa famiglia di mammiferi che tu trovi accoglienza e buon viso. Ma voi credete, ingenuo lettore, che, a malgrado delle vostre e delle nostre maledizioni, il Trovatore finirà d’infistolirci? Oibò. Siate certissimo che se si riaprirà qualche altro teatro di musica in Napoli, e sia pure il Teatro del Popolo o Donna Peppa trasformati in teatri di musica, il Trovatore farà gli onori di casa. E, se non sarà il Trovatore, sarà qualcuno de’suoi fratelli Simon Boccanera, Ernani o Rigoletto. Per buona ventura, il Trovatore naufragò la sera del 3; altrimenti ce lo saremmo goduto per un’altra decinella di sere, e forse per l’intera stagione».[18]
ROSARIO MASTRIANI
[1] Francesco Mastriani, Giambattista Pergolesi, Napoli, G. Regina, 1874, nell’Avvertenza
[2] Ibidem, pp.113-114
[3] Ibidem, p.154
[4] Ibidem, p.218
[5] Ibidem, p.200
[6] Ibidem, p.30
[7] Ibidem, p.31
[8] Ibidem. p.42
[9] Ibidem, pp.32-33
[10] Ibidem, p.55
[11] Ibidem. p.231
[12] Ibidem, p.154
[13] Ibidem, p.31
[14] Ibidem, p.100
[15] Ibidem, p.162
[16] Ibidem, dedica a Sofia Melchionna
[17] Ibidem, p.70
[18] Francesco Mastriani, La Domenica del 11 novembre 1866 nella rubrica «Teatri»