L’OLIMPIADE

 

   Dramma storico in un atto

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   Personaggi: Il Duca di Mondragone; Costanza, sua figliuola; Giovan Battista Pergolesi e Duni, maestri di musica; Carmouche, cavaliere francese; Giannetto, gentiluomo romano.

   La scena è in Roma. Secolo XVIII. Atto unico. Sala di ricevimento in casa del Duca.

Scena I.

   È sera. Da una parte un tavolino da giuoco con vari lumi accesi, presso il quale son seduti il Duca di Mondragone e Duni, e dall’altra un deschetto, vicino al quale Carmouche e Giannetto bevendo

   DUNI – Bravo! bravissimo! sig. Duca. Ella va lesto come una palla di cannone. Ecco la terza

partita che perdo.

   MOND. – Per le cantine di Orazio Flacco! Io ho già dissanguato due bottiglie di questo madera, mentre tu stai tuttora carezzando con la lingua quel magrissimo bicchierino.

GIAN. – Non vorrei che il capo mi ballasse il fandango sulle spalle. Tu sai che io non sono troppo felice bevitore.

MOND. – Tredici di donna.

DUNI – Quattordici quindici.

GIAN (sottovoce a Carm.) – Il duca va in collera; scommetto che stasera non andrà al teatro; perché se perde vorrà giocare fino a domattina per rifarsi.

CARM. (sottovoce a Gian.) – Vecchio arabo! Lo abbandonerò non sì tosto avrò ottenuto la mano di Costanza. Ma bevi, mummia… riscaldati; le tue parole sono fredde come le musiche di Sieur Pergolesi.

GIAN. – A proposito, che pensi degli amoretti di costui?

CARM. – Amoretti, e con chi?

GIAN. – Oh bella!… con la tua fidanzata, con Costanza.

CARM. – Ventre bleu!… che dici tu?

GIAN. – Dico che mi caschino tutti i malanni addosso, se il signor Pergolesi non è cotto… stracotto della bella Costanza.

CARM. – Tu mi metti un vulcano nel capo… Come! quel poveraccio, quel villano di Jesi.

GIAN. – Parla più sottovoce, chè il Duca nol vede di malocchio.

MOND. Ah ah ah… credevi portarmi pel naso con quel sei.

DUNI – Sig. Duca, stia saldo chè questa volta il gioco è per me.

CARM. – Tu dici adunque …

GIAN. – Dico e sostengo che forse il mendico di Jesi si fumerà la bella e nobile Costanza alla barba dell’illustrissimo Sieur Carmouche Cavalier francese.

CARM. – Ascolta Giannetto… non è Costanza che io amo, tu lo sai…

GIAN. – Zitto, zitto, diascine!

CARM. – Io non amo che i be’dobloni che il Duca darà allo sposo di sua figliuola, ma mi sento infiammar di rabbia all’idea che un infelice, infermo fino alle unghie, raccolto qui dal Duca per elemosina, venga a tormi da’denti quel supremo boccone, che ha fatto venir l’acquolina in bocca a più d’un nobile… Ma dimmi, è egli corrisposto?

GIAN. – Pazzamente.

CARM. – E di che mai s’è innamorata Costanza di quel pitocco?

GIAN. – Di che s’è innamorata?… Delle sue musiche… Tu sai che le donne hanno il cuore di neve, cioè freddo ma facile a liquefarsi… Nulla di più agevole che innamorare una donna, facendola udir continuamente sdolcinate ariette su una tastiera d’un gravicembalo…  E poi non sai che ser Giovanni è maestro di Costanza; epperò ha mille occasioni di starle dappresso, d’insinuarsi nel cuore di lei con le dolci frasi d’amore… e poi… quel vedersi così sovente, quel tête-a-tête così frequenti… e prolungati.

CARM. – Taci… taci, o che io diventi una furia, Costanza dunque si burla di me a questo sogno!

GIAN. – Freddezza, amico, beviamo.

CARM. – Si, si, beviamo… Smorziamo la collera coi liquori (ritornano a bere).

DUNI – Eccola disfatta una volta, Sig. Duca; ho finalmente guadagnato una partita.

MOND. (alzandosi) – Ciò basti… riprenderemo domattina la formidabil tenzone.

DUNI – Quando le piacerà, sig. Duca.

   (Si ascolterà il suono del gravicembalo che eseguirà una flebile melodia) (Silenzio generale).

DUNI – È sua figlia, sig. Duca?

MOND. – Sì, è Costanza che ripassa la sua lezione. La sola musica vale ora a distrarla da non so quale malinconia, di cui finora non ho potuto comprendere la cagione, ma che però tienmi in forte pensiero per la salute di questa cara figliuola.

CARM. – Eccellentissimo Duca, mi congratulo veramente con voi e la vostra figlia de’progressi rapidissime che ella fa nella musica, e pare che quest’arte le vada molto a sangue, dappoichè è qualche tempo che non la si stacca più dal clavicembalo.

MOND. – Sì, mia figlia è appassionatissima della musica.

CARM. – Credo altresì che sia appassionatissima del Pergolesi.

MOND. – Che dite sig. Carmouche?

GIAN. (sottovoce a Carmouche) – Imprudente!

CARM. (riprendendosi) – Cioè… mi spiego… amante delle note del Pergolesi.

DUNI – Non so come possa piacere quel continuo piagnisteo; e poi in fatto di contrappunto ei può chiamarsi tironcello ancora. Le sue musiche o son fredde, ovvero sono svegliatrici di colpevoli passioni. In Napoli la poca fama che aveasi procacciata col La Serva Padrona fu sventata dal cattivo successo che sortirono di poi parecchi suoi componimenti; ed è però che prese volontariamente bando da quella città, e venne qui quasi contemporaneamente a me.

MOND. – Bene, vedremo che successo avrà stasera la sua Olimpiade… Tutta Roma è in aspettativa di portenti. Egli stesso mi diceva non è quasi quello spartito gli ha costato be’sudori.

DUNI – Io per me ho cercato di porre questa musica in buona raccomandazione al pubblico, ma…

CARM. – Sì, anch’io credo che la riesca, ma…

MOND. – Ma, ma. Signori miei, io credo poi chè non si abbia a giudicare del merito di una produzione del momentaneo successo, con che il pubblico l’avrà accolta… Soventi volte l’invidia…

DUNI – Non serve, sig. Duca… Pergolesi non è invidiato in Roma, perché il suo nome vi è appena conosciuto.

CARM. – Dice benissimo il professor Duni.

MOND. (vedendo l’orologio) – Le otto per bacco; temo di arrivar tardi al teatro… Ci rivedremo colà, addio signori (esce).

Scena II.

Duni, Carmouche e Giannetto

DUNI – E così, cav. Carmouche, non sareste voi uno degli ammiratori dell’Olimpiade stasera?

CARM. – No, per verità, non amo di piangere, detesto le lagrime, se n’eccettua quelle del monte Posillipo.

DUNI – Ah, ah, ah, il nostro Parigino ha sempre pronti i be’mottetti.

GIAN. – Il vin di Madera gli dà sempre molto spirito e brio.

CARM. – Cela vasans dire; non posso soffrire le musiche di genere patetico, e non so persuadervi come voi altri italiani possiate bearvi al teatro delle musiche di un Pergolesi… a Paris  costui avrebbe addormentato le panche se pure il nostro pubblico non l’avrebbe fatto fuggir disperato a furia di fischi.

DUNI – Ma voi, sig. Carmouche, giudicate troppo in fretta del nostro pubblico. Siete poi sicuro che l’Olimpiade stasera verrà applaudita?

CARM. – Per me le auguri di tutto cuore un capitombolo.

DUNI – A quando scorgo, voi non potete digerir troppo il nostro Pergolesi?

CARM. – Niente affatto, mi è antipatico come un Guascone, ed in ispezialità da che ho saputo certe cosarelle.

DUNI – Dica, dica Sieur Carmouche, che cosa?

GIAN. – Lo dirò io.

CARM. – Non occorre. Si tratta insomma che quel miserabile ha osato gettar gli occhi sulla duchessa madamigella Costanza, mia futura.

DUNI – Poffar del mondo! E che ne dic’Ella?

CARM. – Dico che se egli non si caccia questo grillo dal capo, son capace di tutto.

DUNI – Oh la è un’offesa, che vuol sangue.

CARM. – Sì, sì, sangue…

DUNI – Ma non ne avrete bisogno, sig. Carmouche, perché il pover’uomo sarà forse costretto questa notte stessa, a porsi fra le gambe la strada di Roma, e fuggirsene a rompicollo.

CARM. – Oh, sarebbe davvero una fortuna, ma come…

DUNI – Posso contar su di voi per confidarvi un segreto?

CARM. – Il vostro segreto sarà per me una tirata di liquore, una volta qui dentro (toccandosi lo stomaco) non esce più.

DUNI – Ascoltate adunque. Giannetto spia se giunge madamigella Costanza.

GIAN. – Non temete, vado a farle compagnia.

CARM. – Ebbene?

DUNI – Vi è noto ch egli fu educato nella stessa mia patria, nella più bella terra d’Italia, in Napoli, ed entrambi ci dedicammo allo studio della musica.

CARM. – Avanti… avanti.

DUNI – Vi è noto altresì che egli fu meco competitore d’una gloria che io per me solo ambizionava.

CARM. – Ma questo non fa al nostro caso.

DUNI – Pazienza, signor Carmouche, Dopo ciò, vi sarà facile arguire che una stessa terra non potea contenerci… Io detestava il Pergolesi; e questo mio odio per lui mi fu sprone alle più belle opere; mi detti allo studio di una scuola tutta opposta alla sua; cercai di porre in luce que’difetti di ch si accusavano le sue musiche; ed ottenni che finalmente il suo nome fu oscurato dal mio, che i suoi discepoli furono i miei, che la gloria fu tutta mia. Pergolesi fu ridotto alla estrema miseria; possedeva a mala pena, di che alimentare la sua povera madre; risolvette però postergar Napoli e qui recarsi… Giunse qui due giorni dopo di me… Immaginate quanto fu la mia rabbia, veggendolo in questo paese, accolto dal Duca di Modragone, benveduto da Costanza, ed eletto a maestro di lei.

CARM. – Ventre bleu! Questa storia è pur curiosa.

DUNI – In Roma già si buccinava il suo nome; già si parlava del giovine Pergolesi;… ed io era dimenticato, oscurato, , oh rabbia!! Stasera egli fa produrre la sua Olimpiade; stasera un’immensa folla di gente sta ascoltando le note del signor Pergolesi. Ma sapete voi Signore, che forse in questo momento saranno cominciati i fischi?

CARM. – Che dite?

DUNI – Sì, signore, i fischi. Duecento uomini sono stati da me pagati per fischiar l’Olimpiade, e cento artisti hanno giurato di far cadere questa musica. Oh, non dubitate; Pergolesi è caduto, questa notte stessa egli non sarà più a Roma, perché domani ei non avrebbe di che vivere.

CARM. – Ma il Duca di Mondragone?

DUNI – Il Duca è un fanatico che si volge, come la farfalla, sempre dov’è più lume. Egli accolse il Pergolesi, perché il nome di costui gli era giunto all’orecchio, ma non sì tosto ei vedrà la pessima riuscita della prima produzione del suo protetto, credete voi che il voglia più lungamente tener presso di se? E credete che, ancora ch’egli lo volesse, il superbo Pergolesi vi acconsentirebbe dopo l’infausto evento dell’opera sua? E poi, basterebbe per allontanarlo una sola parola.

CARM. – E quale?

DUNI – Non mi avete detto che egli fa il cascamorto con la Duchessina Costanza?

CARM. – Ebbene?

DUNI – Se il Duca ciò penetrasse.

CARM. – È vero, per bacco! non ci avea pensato. Il Duca è tal uomo che lo farebbe volare a Napoli come una bomba.

DUNI – Non resta dunque che attender la riuscita della sua produzione. In ogni caso, ricordatevi di dire quella parola al Duca.

CARM. – Siate pur tranquillo… Sarà il mio primo pensiero.

DUNI – Mi raccomando alla vostra discrezione su quanto vi ho palesato.

CARM. – Non dubitate.

DUNI – Addio dunque, nobilissimo Cav. Carmouche, volo al teatro. Tra breve mi vedrete nunzio tremendo della caduta del nostro Pergolesi.

Scena III.

Carmouche solo, indi Pergolesi

CARM. – Evviva madamigella Costanza!… Ho finalmente capito perché vi mostravate così accanita di fenditrice di Messere Pergolesi, quando gli si facea onta con parole… Eh… ma … i tuoi sogni lunari, madamigella mia, saranno bentosto dissipati; e voi signorino, voi verrete a conoscere un poco come pizzica la lama d’un pugnal francese (si siede). Ma via, via… Lasciamo sovra i capelli questi pensieri malinconici, e procuriamo di conciliarci un’oncia di sonno (beve)… Sono due notti che le mie palpebre fanno la guardia; quel benedetto spirito mi dà un poco di molestia al petto (ri beve). Almeno questo madera sfiora appena la lingua, ed è vero balsamo allo stomaco 8beve e comincia ad ubriacarsi)… Che fa la mia Costanza?… mi dà un poco di peso (si alza)… vorrei fare… un’improvvisata a Costanza… allons… sulla punta dei piedi (traballa)… fichtre! Questo pavimento è un poco obliquo… (s’incammina per andare nella camera di Costanza). (Pergolesi entrerà dalla parte opposta. Il volto dell’artista sarà estremamente pallido).

PERG. – Signore!

CARM. – Oh! chi mi chiama?

PERG. – Di grazia, signore, è uscita la Duchessina?

CARM. (ridendo) – Oh bella! Questa vostra dimanda, signor Pergolesi, rassomiglia all’acqua fresca; la è vuota di senso.

PERG. – Signore, io credo di essermi bastantemente spiegato, dimandandole se la Duchessina Costanza è in casa.

CARM. – E siete… una… bestia.

PERG. (risentito) – Signore.

CARM. – Che volete voi che io mi sappia di coteste malinconie?

PERG. – Ma quali malinconie?

CARM: – Prima di tutto io non credo di essere qui per osservare il movimento esterno ed interno di tutte le persone di casa, e poi dovete sapere che madamigella Costanza non può uscire senza che io le serva di braccio.

PERG. – Che! Madamigella Costanza… accetterebbe il vostro braccio?

CARM. – Oh ma sapete  che mi avete ben fradicio con le vostre melensaggini, signor Pergolato… Madamigella Costanza non solo accetta il mio braccio, ma la mia mano e la mia fortuna.

PERG. – Cielo!… sareste voi per avventura…

CARM. – Son quel che sono… Ma via, restiamo amici signor Pergolesi, vi offro un bicchierotto in anticipo de’regali di nozze… là touchez, un petit coup… (beve).

PERG. – Per carità… dite… ella… Costanza sarebbe mai vostra fidanzata?

CARM. – Un petit coup… c’est du vieux madère.

PERG. – Grazie… non bevo… Dica dunque… la Duchessina…

CARM. – Se non bevete, vi caccerò il vino nella cravatta.

PERG. (sorbendo il bicchiere) – …Ecco… ho bevuto.

CARM. – Nenni!… point de tout… bisogna bere tutto… il bicchiero.

PERG. – (Dio mio!… dio mio!… qual’uomo)… Signore, per l’amor del cielo… dite… siete voi…

CARM. – Oh… se volete giocare una partita al picchetto.

PERG. – (che tormento)… Io non gioco… dunque… siete voi il futuro..

CARM. – Oh… io sono il presente, il passato, e il futuro.

PERG. (nella massima rabbia) – Voi siete un vile ubriaco.

CARM. (ridendo a sganascio) – Ah… ah… ah… voilà… voi credete di avermi offeso… ma niente affatto… Tutti gli ubbriachi chiamano così gli altri… epperò, signor Pergola mia… temo che… già il vostro fiato pute di vino.

PERG. – Ma dite… vi offro del vino… dite… voi siete il fidanzato di Costanza?

CARM. – Oh… poiché mi offrite gentilmente da bere… non posso che soddisfare alla vostra dimanda… Dunque, cosa volete sapere?

PERG. – Se la Duchessa sarà la vostra sposa…

CARM. – Très bien… mi dia prima il vino.

PERG. – Oh rabbia… Ecco… in questa bottiglia.

CARM. – È vuota, signore; è vuota… come la vostra scarsella.

PERG. – Non volete dunque palesare.

CARM. – Tutto… ma quando avrò umettate  le mie parole col… vino.

PERG. – Miserabile… andrò io da Costanza per conoscere tutto.

CARM. – Costanza… Costanza (canta nel massimo grado di ubbriachezza). Del Duca Mondragone morta è la figlia… E solo esiste ancor questa bottiglia.

PERG. – Brutal creatura… lasciami l’ingresso, o che io…

CARM. – La minaccia… signor Pergolesi… le farò vomitar lo spirito… (tira la spada per avventarsi contro Pergolesi… Costanza gli ferma il braccio).

Scena IV.

Costanza, Cav. Carmouche e Pergolesi

COST. – Ah!… che fate!

CARM. – Nulla… nulla madamigella… Quel signore voleva far conoscenza con la lama di questa spada.

PERG. – Duchessa… costui…

COST. (sottovoce a Pergolesi) – Nol provocate, per carità, egli è ebbro fino a’ capelli.

CARM. – Ringraziate Madamigella Costanza se vi palpita ancora in petto quel cuor di vigliacco.

PERG. – Che! (va per scagliarsi contro Cartouche, Costanza lo ferma).

COST. – (Prudenza).

PERG. – Costanza… e costui dunque dovrà essere vostro sposo?

COST. (sottovoce a Pergolesi) – Ah!… mille volte la morte.

CARM. – Come va, madamigella, che non siete andata ad inzuccherarvi con le note del signor qui presente ed accentante… Già comprendo, avete temuto… il fiasco.

PERG. – Che intendete dire?

CARM. – Ah ah ah… che intendo dire… Dico che a quest’ora una tempesta di fischi sta cadendo sulla vostra Olimpiade.

PERG. (furente lo prende per la cravatta) – Insensato, non farti uscire più quella parola dal labbro, o ch’io ti soffoco.

CARM. – …Oh oh… Così potessi soffocarmi in un mare di vino (esce barcollando).

COST. – Finalmente è uscito… Ecco l’uomo che mio padre ha destinato a compagno di tutta la mia vita.

PERG. – E voi Duchessina, voi l’accettate?

COST. – Io! non mai, non mai, anche a costo della maledizione di mio padre.

PERG. (con tenerezza) – Io vi sono debitore della vita; quel brutale andava a ferirmi.

COST. – Che orrore! ma voi, signor Pergolesi, come va che vi trovate qui, mentre al teatro forse tutto un popolo, entusiasta, dimanderà con grida l’autore della tenera Olimpiade, e lo colmerà di plausi?

PERG. – Lo credete voi Costanza?

COST. – Se lo credo! e potreste dubitarne? Non abbiam forse cantato insieme quelle arie soavi, che mi hanno fatto spargere le più dolci lagrime?

PERG. – Oh sì Costanza; soltanto quelle lagrime hannomi rivelato che io aveva un poco di ingegno; io non sapeva che le mie produzioni avessero qualche valore. Quelle lagrime, credetelo Costanza, quelle lagrime che voi spargivate sulle mie note mi ricompensavano assai dell’ingiustizia degli uomini. Oh l’immensa gioia che io sentiva nel cuore quando i vostri bellissimi si levavano al cielo umidi di un pianto che le fatiche dell’intera mia vita non bastavano a pagare. Que’momenti han formato il più bello de’miei panegirici… Io benediceva i miei lavori, baciava il sudore della mia fronte. Ah…, diceva a me medesimo, vengano pure tutti i miei nemici, vengano pure Duni e quanti altri sommi maestri contiene la nostra classica terra, io sfido la loro critica, perché le mie note han trovato eco nel cuore d’una celeste creatura… Sì, Costanza, voi siete più che donna, ed io vi amo.

COST. – Che dite!… Signor Pergoelsi!

PERG. – Sì, sì vi amo,… qui a’vostri ginocchi… (iginocchiandosi).

COST. (impedendo che egli s’inginocchi) Ah… che fate! (trema tutta).

PERG. – Non vi offendete delle mie parole, duchessina; le parole d’un povero infermo qual son io non possono che muovere la vostra pietà… sapete che io non ho che pochi anni a vivere.

COST. (asciugandosi una lagrima) – tacete, signore, tacete.

PERG. – Voi piangete, Costanza! Cielo, ti ringrazio, non sono più infelice.

COST. – Signore…

PERG. – Ascoltate, Costanza, ascoltate… voi siete la più savia delle donne, la più cara; a voi solo posso aprire il mio cuore, vi parlerò come farei  nell’estrema ora mia. poco fa, nel momento in cui quell’ebbro m’insultava, ei si diceva vostro fidanzato, in quel momento mi si è affacciato all’animo un pensiero infernale. Ma poi… la vostra voce ha dissipato quello spettro dalla mente, la vostra voce mi ha rivelato i dolci misteri del cielo. Ho detto a me medesimo:Pergolesi, tu sei povero, infermo, oscuro, senz’avvenire; ma pure… una sola parola non ti farebbe il più avventuroso mortale che sia sulla faccia della terra? Se Costanza ti dicesse: io ti amo… oh… allora sfiderei quanti diconsi felici tra’figliuoli d’Adamo… Sì, un’ora sola del suo amore, un solo istante, ed un eliso si aprirebbe sulla terra… Ma questo, o Costanza, era un sogno della mia esaltata ed egra fantasia, io delirava. A quel sogno delizioso è succeduta la veglia disingannatrice… Perdonate le parole d’un pazzo, ma d’uno sventurato.

COST. – Calmatevi, signore, voi soffrite; e queste commozioni possono farvi assai male; sì esse fanno male anche a me.

PERG. – Anche a voi, Costanza?

COST. – Sì, ma non sapete che l’ora è avanzata, e forse il popolo schiamazzerà per vedervi sul proscenio?

PERG. – Ecco, ora vado. Le vostre parole han fugato una palla di piombo che mi pesava sul petto… un dubbio tremendo mi toglieva il respiro.

COST. – E quale?

PERG. – Non so che presentimento mi diceva che la mia Olimpiade, il parto più caro della mia mente, sarebbe stato fischiato!

COST. – Che dite, signor Pergolesi?

PERG. – Nulla, nulla, vi dico, era un dubbio, ma ora più non ci credo, dacché voi mi avete assicurato…

COST. – Oh, bandite dall’animo vostro ogni dubbio… Andate, andate al teatro a ricevere gli onori che son dovuti al vostro sommo ingegno.

PERG. – Addio dunque, celeste fanciulla, mi rivedrete tra breve, o coronato d’allori, o…

Scena V.

Duni e medesimi

DUNI – Che  fate qui, signor Pergolesi, la vostra Olimpiade ha destato tale fanatismo nel popolo, che se voi non vi mostrate, la produzione non vedrà la fine.

PERG. – Ed è vero! Ah mio Dio, ti ringrazio… Ecco, volo al teatro… signor Duni, avete detto che il popolo mi dimanda.

DUNI – Con immense grida.

PERG. – E voi veniste a bella posta.

DUNI – Per rendervene avvisato.

PERG (stringendogli la mano) – Quanta bontà… Addio dunque, Duchessina Costanza, addio sig. Duni… Oh! qual’ebbrezza ho nel cuore (via).

DUNI – (Corri… vola… Va ad essere spettatore della tua caduta; vola a ricevere gli insulti del pubblico).

COST. – Ma dite, signor Duni.

DUNI – Perdono, bella Duchessina… ma io non posso trattenermi un istante… Al teatro vi è bisogno della mia presenza (via).

Scena VI.

Costanza sola, indi Carmouche

COST. – Ecco finalmente Pergolesi coronato di gloria a dospetto degl’invidi suoi rivali… ora si nominerà con rispetto il suo nome… Infelice! Ei non ha su questa terra che l’ingegno, e i barbari voleano schiantarlo, perché dove schizza una scintilla di genio, là tutti gli uomini rivolgono i loro sguardi invidiosi, là sono volti tutti gli sforzi dell’ignoranza per annientarlo… consumarlo… Pergolesi!… Perché mai questo nome mi sta sempre in sulle labbra, perché desso muove sempre un palpito nel mio cuore!… Ah!!… Poc’anzi dicea “amato da voi un eliso si aprirebbe in su la terra”… Costanza, interroga il tuo cuore… Di… se quest’uomo perdesse la gloria, gli onori, se quest’uomo fosse costretto ad accattar giornalmente il pane della vita, allora ei non avrebbe che te sola… Ebbene… Poco fa, non ti chiamava egli il suo angelo. Vorrai tu scacciarlo… odiarlo?… ma chi viene… Dio mio, quell’ebbro di Carmouche… a quest’ora… si eviti (va per andarsene).

CARM. – Dove, bellissima Costanzina.

COST. – Nelle mie camere.

CARM. – Un momento… Duchessina… dovrei dirvi due parole.

COST. – se ne parlerà un’altra volta… domani.

CARM. – no, no, ora, in questo punto… Dite, Costanza, e parlatemi francamente… Amate voi il maestro Pergolesi?…

COST. – Signore… codesta dimanda.

CARM. – Sapete pure che qual vostro fidanzato ho tutto il diritto di farvela.

COST. – Ma io non vedo, signore, qual motivo abbia potuto dar luogo a questa supposizione…

CARM. – Oh pe’ motivi poi… Insomma, l’amate si o no?

COST. – Ebbene non l’amo (prudenza).

CARM. – Vi è dunque indifferente la sua persona!?

COST. – (che pazienza) Indifferente.

CARM. – Allora vi sarà grata la notizia che il nostro sublime professor Duni non teme più rivali.

COST. – Come?… Perché?…

CARM. – Perché l’Olimpiade è caduta.

COST. (manda un grido) – Ah! caduta!!

CARM. – No, dico meglio, l’hanno precipitata a furia di fischi.

COST. (con isdegno) – …Vile mentitore…

CARM. – Ah… ah… voi andate in collera… Aveva dunque ragione di dire che siete…

COST. – Voi mentite per la gola, vi dico… l’Olimpiade è stata applaudita.

CARM. – Ma donde in voi nasce questa sicurezza… volete per forza ch’io vi faccia questo tremendo racconto!

COST. – (Dio) Qual racconto.

CARM. – Ascoltate adunque. Io già non aveva affatto intenzione di andare al teatro; avrei piuttosto preferito di gettarmi sul morbido mio letto perc’avea qui nel capo non so che cosa che mi facea chiudere gli occhi a mio dispetto… E poi erano due notti che non dormiva.

COST. – Ma via, via, questo che importa a me?

CARM. – Importa benissimo per la regolarità del racconto… È il prologo della tragedia. Dunque, poich’ebbi contrastato mezz’ora con me stesso tra due opposte volontà, mi determinai di andare ad udire l’Olimpiade. Andiamo, dissi, non si dica che il Cav. Carmouche, filarmonico di prima sfera, non incoraggi di sua presenza un giovine esordiente… e poi…

COST. – Ma dunque.

CARM. – Dunque… mi sdraiai sovra il canapè del palco e quivi dormii tranquillamente per un quarto d’ora, cred’io… quando un terribile baccano di fischi e di urla mi fe’svegliare a soprassalto e ruppe nel mio capo; indovinate che cosa ruppe… ruppe una deliziosa bottiglia di Bordeaux che io stava bevendo in sogno.

COST. (nella massima agitazione) – Un baccano di fischi e di urla.

CARM. – Sì, Signora, di fischi e di urla… Si bassò allora la tenda e finisce il secondo atto… figuratevi che nel bassarsi quella tenda maledetta, il popolo non ha più conosciuto freno; area una congiura di streghe, un sabbato infernale… Si fischiava fin dal cielo del teatro, fin dagli abissi della platea.

COST. – Tacete… tacete.

CARM. – In un momento tutto fu silenzio, come se il popolo avesse cercato qualcuno… sì… cercava l’autore. Ed ecco… che s’incomincia di nuovo allo strepito, ed alle grida… Il maestro Pergolesi… vada alla zappa… Pergolesi… venga… venga fuori… [1]

COST. (si appoggia al tavolino mezzo svenuta) – Per carità non più.

CARM. – Ma ciò non è niente… L’autore non compariva, ed intanto quelle bestie fanno alzare la tenda per dar principio al terzo atto… Qui quella turba s’insatanassa terribilmente… Al prim’attore che è uscito sul proscenio è toccata una gross’arancia sulla faccia, e questo è stato un segnale d’una rivolta generale. Io non so da dove han cacciato tante arance; una pioggia; un diluvio di arance e di cuscini ha tempestato il proscenio. Non si è mai veduto un simil furore nel popolo: erano gridi di energumeni, strepiti da pazzi. Vi assicuro che sono stato costretto a fuggirmene, non potendo più resistere a quella scena infernale.

COST. – Ed egli… l’avete voi veduto?

CARM. – No, egli non era ancora comparso ed ha fatto bene, perché altrimenti quella masnada l’avrebbe acconciato per le feste.

COST. – Ah Signore, correte, salvatelo.

CARM. – Oh, non temete… certo, non l’ammazzeranno; finalmente è carne umana.

COST. – Ah, voi non sapete; egli forse è capace di tutto; ei forse non vorrà sopravvivere a tanta vergogna… Correte, per carità impedite (s’inginocchia) ve lo domando in ginocchio. Se aveste mai un sentimento per me, correte, Cav. Carmouche, volate…

CARM. – Volo, volo… ma dove?

COST. – Là al teatro; egli è andato al teatro.

CARM. – Ebbene?

COST. – Ebbene… (prendendo dal seno una rosa) gli darete questa rosa, gli direte che Costanza gliela invia, pregandolo di qui recarsi immantinente.

CARM. – Ma signorina mia,… questo poi è troppo.

COST. – Per l’amore del cielo; un istante che ritardate, egli è perduto.

CARM. – Eccomi, volo a servirvi.

Scena VII.

Costanza sola, indi Pergolesi

COST. – O Dio, che oppressione!… (siede e resta per qualche tempo immersa ne’suoi pensieri) Sventurato Pergolesi! Infelicissimo giovine, questo colpo finirà di abbreviare i tuoi giorni!… Stolto popolo, tu non conosci qual uomo ammazzi, qual uomo hai tu insultato sta sera. Tremenda congiura la fu, terribil partito, e forse quel perfido Duni,… Traditore… Egli ha voluto che il suo rivale fosse spettatore dell’onta, di che il popolo lo colmava!… Virtù, ingegno… Eh… che vale aver virtù ed ingegno quaggiù! Eppure nell’immenso duolo che io provo mi sorride un pensiero. Non ha egli detto che in sulla terra avrebbe dimenticato le sue sventure accanto a me? Ebbene io saprò ricompensarlo coll’amor mio di tutte le barbarie degli uomini; io sarò l’astro di pace che gli sorriderà in mezzo alle sciagure della vita, e forse un giorno i posteri mi benediranno di aver amato il più caro ingegno d’Italia… E se mio padre il bandisce fuori di questa casa, se egli penetrasse questi sentimenti… (resta pensosa).

   Pergolesi entrerà pallidissimo e vacillante; egli avrà nelle mani la rosa inviatogli da Costanza. L’espressione della sua fantasia dovrà indicare il delirio della mente.

PERG. – Che vuol da me questo popolo che m’insegue?… Che gli ho fatto io ?… Oh… vuol la mia morte… Ebbene, sì, la mia vita non durerà più di questo fiore, noi ci appassiremo insieme… Costanza… eccomi a voi… Sì, l’ho detto, voi siete il mio angelo… L’ultim’ora era suonata per me, io mi sono sentito stringere la gola, da una piena di sangue… Oh… Costanza. Io perdono questo popolo, e chi mi ha tradito; io non serbo astio contro gli uomini, finchè i miei occhi potranno fissarsi su questa rosa, finchè le mie labbra potranno baciarla.

COST. – Ah… Signore…

PERG. – Vedi, Costanza, io non arrossisco di comparire dinanzi a te, perché tu mi hai compresa, tu sola… Ascolta, celeste fanciulla, ascolta… e per l’ultima volta… Io ero nato virtuoso, e sensitivo…, e gli uomini si beffarono di me, perché dissero ch’io era un fanciullo; aveva una scintilla d’ingegno, e fui povero, oscuro, ramingo… I miei studi mi regalarono una lenta etica febbre, che ha sfiorato i miei giorni, inaridita la mia giovinezza… Ebbi desio di gloria, e la mi si mostrò appena sull’alba della vita, per essermi quindi tolta dall’invidia degli uomini, e per essere dannato a morire vilipeso e schernito. I miei giorni furono cosparsi di lagrime, la fame e la miseria circondarono il mio tugurio, e io dovetti esiliarmi per nutrir mia madre con un tozzo di pane comprato col sudore della fronte. Or bene… scrissi una musica, ch’io credea sublime, e l’Olimpiade è stata trattata come il parto più mostruoso della mente… Ma il destino non era stanco di aggravar sul mio capo la sua ira onnipotente… Costanza, io non aveva amato,… io non sapea cosa vuol dire questa tremenda passione… Costanza, puoi tu immaginare com’è forte l’amore nel petto d’un tisico? No, non rabbrividire, o giovinetta… Sì, io ti amo più di quest’aria che mi manca ogni giorno, più di questa luce, che va a spegnersi per sempre agli occhi miei… Sì, Costanza, io ti amo… e debbo lasciarti, perché altrimenti il calice delle sventure non sarebbe stato colmo, e io dove a tutto pieno sorbirlo… Oh, non piangere no, Costanza, risparmia le tue lagrime, per versarle tra breve alla mia memoria, quando io avrò raggiunto una terra più felice di questa…

COST. – No, Pergolesi, tu vivrai…

PERG. – Sì, vivrò fino a che questa rosa non si sarà sgualcita.

COST. – Oh Pergolesi…, sei tu certo che niuno abbia saputo amarti?

PERG. – Oh, che ascolto… Donna, tu forse…

COST. – Ebbene, sì, io ti amo, e possa l’amor mio compensarti di tutta l’ingiustizia del fato.

PERG. (cadendo in ginocchio) – Dio, Dio… ah!… e perché mi hai dannato a morir così presto! oh quanto mi pesa ora la morte… Costanza, sposa mia… deh!… giura, giura d’amarmi…

COST. – Sì, giuro… di esser tua… e per sempre.

Scena Ultima

Il Duca di Mondragone e medesimi

   Il Duca di Mondragone apparirà sotto la porta, ed avrà ascoltato le ultime parole di sua figlia.

MOND. – Insensata… che dici!…

COST. e PERG. – Ah!

MOND. – Tu sposa di costui?

COST. – Ah! padre.

MOND. – Taci, o ch’io ti maledico.. Vil seduttore.

PERG. – Eccovi inerme il petto… incarnatevi la fredda lama della vostra spada… Essa non sarà mai tanto fredda quanto il vostro cuore…

MOND. – Scellerato!… questo è il prezzo de’miei benefici!.. Tu sposo della nobil figliuola del Duca di Mondragone?

PERG. – Sì, ma questo sposo non ha che pochi giorni a vivere… La tisi ed il dolore l’hanno spinto sull’orlo della tomba… Vostra figlia ha sposato un cadavere… (cade con la fronte a terra).

   Si bassa la tenda.

                                     FRANCESCO MASTRIANI

          Il seguente lavoro teatrale fu pubblicato la prima ed unica volta, dal giornale Il Sibilo, dal 3 al 17 luglio 1845.

 

 

 

 

[1] Parole storiche