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A mio padre
Quattro ancora di più dei sessant’anni
Gravano sul tuo core, afflitto e stanco:
Tra pene, angoscie, fra tormenti e affanni,
Ch’han fatto il capo tuo fin troppo bianco!
Ma l’animo tuo grande non s’arrende
Alla sventura, ed ai crudi perigli,
E d’amoroso poco più s’accende
Per noi raminghi e sventurati figli,
Ch’orbi di mamma, essi non hanno in vita
Che la carezza tua sincera e pia,
Che li conforta, e lor fa l’alma ardita
Contro la sorte derelitta e ria!.
Io quando ti rimiro, in su la squilla,
tornare a casa, ed affannoso e pio,
Sento sciogliermi in pianto la pupilla,
E volgo in ciel questa mia prece a Dio:
Oh buon Gesù, se hai Tu stabilito
C’ogni mortale sia parato al duolo:
Scaglia su me questo supremo rito,..
Preserva lui,.. e fa soffrir mè solo!..
aprile 1912