LA NATURA NON FA SALTI

  Ritorniamo, senza tema d’una mentita, ad asserire che una della cagioni del decadimento che si osserva e si deplora nelle opere attuali di qualsivoglia maniera si è la troppa fretta onde vengono concepite ed eseguite. La natura non fa salti, solea dire quel suo profondo investigatore, Linneo. E se a questa verità si consocerà l’altra non meno evidente che l’abuso delle forze snerva e non corrobora, si avrà, siccome abbiam detto, la ragione positiva ed innegabile della poca solidità e durata che si hanno i prodotti dell’ingegno non meno che i materiali del nostro tempo.

   Tante volte si è detto e si è ripetuto, col linguaggio del poeta, che gli uomini dell’èra presente hanno fatto sparire i due più grandi nemici dell’umana attività, il tempo e la distanza, che ciò si è creduto in buona fede e in tutto. Non può negarsi che il genio inventivo industriale abbia fatto prodigi incredibili, e tali che sarebbero paruti sogni o deliri a’nostri antenati; ma ei bisogna ben guardarsi dal credere che siffatti materiali accorciamenti di tempo e di distanza possano con pari facilità applicarsi ai regolari movimenti dello spirito umano. Imperciocchè è indubitato che la rapidità nuoce alla durata; e gli antichi avevano riconosciuta una tal verità sotto l’aforisma Nihil violentum durabile. Per lo passato, a mala pena sorgeva un gran genio in un secolo; oggi sono più i geni che gli uomini comuni e volgari. Ma la storia ci addita il secolo di Pericle, di Newton, di Leibniz, e non sappiamo se potrà parimente menzionare il nostro secolo col nome di un grande intelletto. Oggidì il genio non solamente è retaggio di tutti indistintamente, ma sembra in qualche modo sdegnar la canizie e annidarsi ne’fanciulli, i quali escono dal seno materno dotti, esperti, e, quel che è più, geni da destar maraviglie. Ogni dì vi si annunzia un romanziero a 17 anni, un drammaturgo a 14, un poeta a 12, un pianista a 10, un compositore a 9, un poliglotta a 6. E dove, e quando, e come han costoro studiato? Non si sa. Vi s’impone l’ammirazione senza discuterla. La famosa sentenza del Tasso

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Chi non gela, non suda e non si estolle

Dalle vie del piacer, là non perviene,

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è divenuta una bugia madornale; imperocchè oggigiorno, senza gelare, senza sudare, si perviene a quel che si vuole. La scuola, i maestri, i libri, gli studii non servono più a nulla; i precetti e le regole non fanno più al caso. Non vi ha adolescente di tre lustri e anche meno il quale non sia capace di farla da maestro in tutto: dategli una penna e un foglio di carta, ed egli vi aggiusterà con un articolo di giornale le più ardue questioni politiche, scientifiche e letterarie con tanta facilità che nella sua scrittura non avrete a scorgere nemmeno una cancellatura!

   E si vuole, dopo ciò, sapere perché tutto, nelle opere moderne, porti l’impronta del decadimento e della fiacchezza? perché tutto sia perituro ed efimero? E noi ricordiamo che

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Le temps respecte peu ce que l’on fait

                                      sans lui.

 

   Non tam obest audire supervacua quam ignorare necessaria, scriveva Quintiliano; e, se non sapessimo che questo dotto scrittore vivea parecchi secolucci or sono, crederemmo che il valentuomo fosse un nostro contemporaneo, il quale, scandalizzato dalla levità degli studi presenti, volesse propriamente ricordare a’giovani qual cosa dannosa essa sia, non tanto il versarsi intorno a molte inesattezze e superficialità, quanto l’ignorare quelle cose che sono di assoluta necessità per la formazione dell’intelletto e del cuore. Noi non siamo gran fatto laudatores temporis acti; ma non siamo tampoco piaggiatori escandescenti de’tempi che corrono (e corron troppo). Vorremmo che la sapienza antica non si avesse a reputar rancidume da lasciarsi addietro: bensì che entrasse in qualche modo in connubio colla guizzante civiltà nostra che per correr troppo corre il rischio di rompersi la nuca del collo.

   Noi paragoniamo l’amor proprio alla forza del vapore che, adoperata nella giusta misura e nelle debite proporzioni, conduce presto e sicuro; ma, dove la è sovrabbondante e fuori norma, mena a precipizio uomini e cose. Noi figliuoli del secolo decimonono, boriosetti di aver trovato tanti bei scorciatoi di tempo e di distanza, ci riempiamo un po’soverchio di aria, epperò spesso facciamo la figura delle bolle d’acqua saponacea.

   Abbiamo già troppo ripetuto che oggidì i fanciulli vengono al mondo cogli occhi aperti; e ci sono stati e ci sono di molti gonzi che si sono imbeccata questa pappolata; e li senti asserire con molta gravità che come si nasce ora non si nasceva un secolo fa; che al presente un garzoncello a quattordici anni può saperne più d’un vecchio a sessanta, la mercé de’metodi francesi, americani e lapponesi; che i libri grossi non debbano ormai servire ad altro che a nutrir sorci; e che gli opuscoli, i manuali, i trattatelli, le epitomi, i compendi, i giornali sono i soli veicoli del sapere; il tutto ridotto a brevi lezioni sintetiche e fuori pedantismo.

   E queste cose vengono spacciate con un sapore di verità anche da coloro che han bianco il pelo (non per senno).

   Siffatte adulazioni a’dottorelli improvvisati de’tempi nostri han tanto nociuto al vero pregresso delle scienze e delle lettere, e han fatto pullulare d’imberbi filosofi e di mocciosi politici, dalle cui labbra, commisti a’nembi azzurrini d’evaporizzato tabacco, escono i più leggiadri paradossi e le più ridevoli eresie in fatto di arte, di lettere e di politica.

   Un tempo (è non è guari da noi discosto) si scrivea pel bene dell’umana famiglia; oggi (perdonate!) si scrive pel solo vantaggio de’pizzicagnoli, che comprano a discreti prezzi comodissimi involucri a’loro lardi e presciutti. Se questo giudizio parrà un po’duro, non è mia colpa, giacchè non sono io che ho inventata la letteratura de’ricevi a tallone.

   Intendiamoci bene. Non è mio intendimento il gridar la croce addosso a’giornali; imperocchè di questa utile istituzione, come di altre moltissime, non si cava tutto quel vero profitto che potrebbe pur ricavarsi, qualora da menti assennate e da uomini educati e gravi studi venissero diretti e compilati. Ma egli interviene che gioventù, vispa e soverchiamente fiduciosa nelle proprie forze, per non dir presuntuosetta, si gitta a corpo perduto su questo facil mezzo di rilucere nelle brigate, dove, al pari de’corpi opachi, non rilucono di luce propria ma riflessa.

   È innegabile che il giornale ha ucciso il libro: la seduzione è troppo forte perché i giovani vi resistano. La troppa bramosia di entrar nel tempio della fama fa che molti vi si affoghino alle porte senza potervi penetrare; giacchè questa capricciosa dea non ammette che pochi e quando non vengano in turba.

                                        FRANCESCO MASTRIANI