FATTI DIVERSI. 25 AGOSTO 1867

   Leggiamo nel Giornale Roma:

   Più volte il giornale Il Pungolo, nella sua cronaca interna, parlando di salute pubblica, accennava al piccolo porto di S ͣ. Lucia, all’assoluta necessità di ristabilirvi una seconda apertura dalla parte dell’Albergo di Roma, affine di favorire una corrente d’acqua che portasse al largo tutte le immondezze che si gettano in uno spazio così ristretto, e dove mettono capo tutti i corsi luridi di quel quartiere. Ci sembra veramente strano che il Municipio, cui incombe occuparsi della igiene generale, che ha pubblicato un manifesto, nel quale proibisce tutti i cibi, tranne quelli che la povera gente non può procurarsi, ma nel quale seriamente, è prescritto di respirare dell’aria pura, non abbia pensato ancora a tener conto delle giuste riflessioni, espresso o sottointese dal sopra citato giornale ed a tranquillizzare gli abitanti di quel quartiere assicurandoli che le materie animali digerite non corrompono punto l’acqua, che i bagni colà presi sono anzi più salutari, che i frutti di mare, i pesci, i polipi in quell’acqua nutriti riescono più gustosi e salubri, che gli effetti delle acque minerali che là si vanno a bere sono coadiuvati da quelle emanazioni, e che per aria pura si intende quella che ognuno può da sé procurarsi con un ventaglio.

   Se il Municipio non può dir questo, se è, come tutto il mondo, convinto, che: peste, febbre gialla, febbri perniciose, intermittenti, tifoidee, cholera, – hanno la loro origine, il loro punto di partenza dalle acqua stagnanti e corrotte, e persino nei grandi fiumi, là dove, verso la foce, il loro corso si fa più lento e grandi quantità di materie putrescibili si raccolgono. Il Mississippi, il fiume delle Amazzoni, l’Orinoco danno la febbre gialla, il Nilo ha la peste, il Po le perniciose, la Senna, il Tamigi le tifoidee, il Gange il cholera. Perché, dimandiamo, non mette mano all’opera ed alla poca spesa per assanire il porto di S ͣ. Lucia? Perché! Per quello stesso perché che fa lasciare quasi tutte le strade di Napoli, tranne Toledo e Chiaia, come tanti mondezzai e corsi luridi.

   L’aria pura, se la volete, signori cittadini, procuratevela voi stessi… col ventaglio.

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   Un fatto inaudito – compivasi in Bergamo in uno degli scorsi giorni. Ecco come il giornale la Lombardia lo narra.

   Un fatto assai grave compievasi in Bergamo in uno dei giorni testé passati. Certo avvocato A. Rossi, uomo singolare ed eccentrico, trovandosi in certa sera ad una partita di giuoco con un capitano, eccedeva contro costui con espressioni ingiuriose; il capitano all’indomani chiamava con un viglietto nella propria casa il Rossi, e andatovi questi in buona fede, lo chiudeva seco medesimo in una stanza e gli presentava a firmare uno scritto di ritrattazione alle ingiurie della sera precorsa. Rifiutandosi il Rossi, l’altro gli vibrava un fortissimo pugno al petto, e poi un altro ancora, per cui il Rossi cadeva tramortito. Ma risentitosi poi e riprendendo il militare la primiera furia, il Rossi giunse ad afferrare la finestra ed aprirla, e spiccò da essa un salto nella strada. Cadendo nel salto dall’altezza che era un piano, si ruppe un braccio e sofferse varie contusioni e fu trasportato all’ospedale, ove al direttore ed ai medici narrava l’accaduto. Frattanto autorevoli ed umane persone eransi interposte perché la cosa venisse sopita senza ulteriori imbarazzi; ed infatti, aderendovi l’offeso, eransi pacificate le parti mediante l’esborso che avrebbe fatto il capitano di L. 2500; e l’offeso stesso, assunto in giudiziale esame, esponeva il fatto del suo ferimento come cosa accidentale e ne diceva scevro di colpa il capitano. Ma poco appresso la malattia si aggravava a segno che l’infelice avvocato fra dolori e spasimi cessava di vivere. Allora tosto si palesò il fatto nella sua nuda verità per opera eziandio di quelli stessi, i quali se prima bramavano una pacificazione, rifuggivano poi all’idea di occultare un orrendo misfatto. Fu posto in carcere il capitano e s’intraprende il processo, che formerà argomento allo sviluppo di un doloroso dramma alla Corte delle Assise.

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   FRANCESCO MASTRIANI